C’è un popolo che si sveglia solo quando si vota. O peggio: solo quando c’è da lamentarsi di come si è votato. Il resto dell’anno scompare, troppo impegnato a postare indignazioni prefabbricate e ad aggiornare le stories con aperitivi e aforismi da bacio Perugina. Poi arriva il turno elettorale e d’improvviso tutti esperti di geopolitica, diritto costituzionale e dinamiche europee.
Eppure, l’unico dato certo è che alle urne non ci va più nessuno. E i pochi che ci vanno, spesso scelgono come si ordina al ristorante: “Boh, fammi provare questo, tanto gli altri li ho già assaggiati”. Poi si stupiscono se il conto è salato.
Chi non partecipa, non ha diritto al lamento. E chi partecipa a casaccio, nemmeno. La democrazia non è un telecomando da zapping, né una roulette russa dove ogni tanto becchi uno decente per sbaglio. È un esercizio faticoso, fatto di memoria, responsabilità e studio. Tre cose che oggi non vanno più di moda.
Il problema non è chi ci governa. Il problema è che ci ostiniamo a voler essere governati senza prenderci la briga di capire da chi. E allora niente scuse: se ti senti bastonato, guarda chi ti sei scelto come manico. Oppure, peggio, guarda il vuoto che hai lasciato. È lì che qualcun altro ha infilato il bastone.
A cura di Nicola Santini