Home MondoIl Festival di Cannes 2025 ha lasciato il trucco a casa

Il Festival di Cannes 2025 ha lasciato il trucco a casa

Sotto la giacca da gala, c’è il sangue del mondo

Da Nora Taylor
festival di cannes
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Quest’anno il Festival di Cannes non si è limitato a srotolare il tappeto rosso. Ha rotto il vetro dell’emergenza. Non ha chiamato a raccolta solo i cinefili, ha chiamato tutti noi, spettatori e cittadini. Robert De Niro, salito sul palco per ricevere la Palma d’Oro alla carriera, ha sparato parole come proiettili: “Siamo una minaccia per gli autocrati e i fascisti di questo mondo”. Nessun discorso patinato. Solo verità. Solo rabbia giusta.

Robert De Niro non ha voluto intrattenere. Ha preferito disturbare. E l’ha fatto con una dichiarazione che suonava come un pugno: “L’arte non deve mai inginocchiarsi al potere”.

Juliette si è tolta i guanti e ha parlato di ferite

Juliette Binoche, quest’anno presidente della giuria, ha strappato la scenografia con una voce che non chiedeva scusa. Ha denunciato le ombre del sistema cinematografico francese. Poi ha letto ad alta voce una poesia di Fatima Hassouna, fotoreporter palestinese uccisa a Gaza. Nessun artificio. Solo parole che tagliavano come lame.

Juliette Binoche ha preso una posizione netta: “L’arte non consola, l’arte resiste”. E mentre la sala ammutoliva, Cannes smetteva di essere solo una vetrina. Diventava specchio, diventava arma.

Diciannove film, diciannove crepe nell’anima

In concorso ufficiale ci sono diciannove opere. Ognuna ha il coraggio di guardare dove fa male. Wes Anderson con The Phoenician Scheme usa la sua estetica ossessiva per raccontare il potere e le sue distorsioni. Julia Ducournau, già vincitrice in passato, porta Alpha: un film che parla di identità e carne, con una regia che non ha paura di sporcarsi.

I fratelli Dardenne arrivano con Young Mothers, un racconto ruvido su maternità precarie e amore che resiste anche quando tutto si spezza. Mario Martone, con Fuori, torna a interrogare l’anima italiana: la solitudine, l’esilio emotivo, il bisogno di rimanere umani.

Dalla Spagna arrivano due voci potenti: Sirat di Óliver Laxe e Romería di Carla Simón, che parlano di radici, di fede, di donne che si cercano in mezzo al silenzio. Ogni film sembra dire: “Guardami. Senza filtri. Senza pietà”.

Kristen e Scarlett si mettono dietro la macchina da presa

Kristen Stewart debutta alla regia con The Chronology of Water, ispirato all’autobiografia incendiaria di Lidia Yuknavitch. Racconta corpi che cambiano, cicatrici che diventano mappa, vita che esonda. È un film che non si spiega, si attraversa.

Scarlett Johansson arriva con Eleanor the Great, la storia tenera e rivoluzionaria di una donna che, passati i sessanta, sceglie di ricominciare per davvero. Le due registe non si mimetizzano. Entrano nella sezione Un Certain Regard con l’intenzione chiara di prendersi tutto lo spazio che serve. E lo fanno.

Il red carpet non seduce più. Inquieta

Quest’anno Cannes ha cambiato codice d’abbigliamento. Più sobrietà, meno trasparenze. Ma chi pensava a un festival censurato, ha capito poco. Le attrici hanno risposto con look intelligenti, scelte simboliche, gesti stilistici che gridavano libertà. Le scollature si sono fatte manifesto, i veli si sono trasformati in poesia.

L’eleganza ha deciso di farsi politica, e le passerelle sono diventate teatro di protesta silenziosa. Nessuno ha obbedito: tutti hanno reinventato.

Il cinema non sogna più. Lotta

Cannes 2025 non ha voluto distrarre. Ha voluto risvegliare. In mezzo ai flash, ha fatto spazio alla guerra, alla fame, alla verità che di solito si tiene fuori dai festival. Ha proiettato La febbre dell’oro di Charlie Chaplin restaurato, come a dire: guardate da dove veniamo, ma non dimenticate dove siamo.

Questo non è solo spettacolo. È una presa di posizione. Il cinema, quest’anno, non ha chiesto scusa. Ha chiesto giustizia.

A cura di Veronica Aceti
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