La vacanza vera non è quando prendi un aereo, è quando molli la presa. Non sulle valigie, ma sul bisogno di far sapere agli altri che stai “vivendo”. Oggi però si parte con l’illusione di staccare e si finisce a fare turni da operatore social, con più ore di produzione contenuti che di sonno. Tramonti catturati come se il sole avesse firmato un contratto esclusivo con il tuo profilo, cappuccini fotografati per far capire che sì, anche tu sai cosa sia una vista “instagrammabile”, e citazioni spirituali prese a prestito perché il neurone creativo è rimasto a casa.
Si torna più stanchi di quando si è partiti, con il telefono pieno e la testa vuota. E la cosa comica è che per metà di voi il feed è pure noioso: selfie col broncio che sembra stitichezza, filtri che spengono il cielo e tag che trasformano ogni passo in un comunicato stampa personale. Invece che vacanze, sono tirocini gratuiti da influencer con velleità e zero talento.
Oggi la villeggiatura è un set. La gente non vive, recita. Con la differenza che a teatro almeno il pubblico paga il biglietto, qui l’unico a pagare sei tu: voli, hotel, cene, tutto per regalare all’algoritmo l’illusione che tu abbia una vita migliore di quella che hai.
La vacanza vera la vivi quando non lasci traccia. Quando non sei taggato, non sei cercato, non sei visto. Quando non hai paura di essere noioso e il tuo telefono muore in pace, senza tentativi di rianimazione. Quello è riposo. Il resto è un reality autoprodotto in cui reciti, dirigi e ti licenzi da solo.
A cura di Nicola Santini

